Odontofobia nei bambini: come trattare la paura del dentista nei più piccoli?

Nei bambini con paura del dentista o con odontofobia, l’approccio degli odontoiatri deve essere graduale e mirato alla conquista della fiducia del piccolo

L’ odontofobia è stata riconosciuta come una vera e propria malattia, le persone con odontofobia sono normalmente portate a rimandare continuamente le cure, una particolare attenzione viene posta all’infanzia, un periodo delicato in cui l’esordio della paura del dentista e dell’ansia per le cure odontoiatriche è più frequente.

Odontofobia: cos’è e come si manifesta

Attualmente l’ansia e la paura dentistica rappresentano un problema clinico essenziale. Reazioni di ansia e paura sono condizioni emotive molto diffuse, ma talvolta possono impedire il corretto svolgimento dei trattamenti odontoiatrici, inficiando sulla salute orale del soggetto.

Per questo, si stanno esplorando differenti vie che possano rendere il trattamento odontoiatrico meno traumatico per il paziente che soffre di ansia o paura e garantire a esso il mantenimento della salute.

L’ odontofobia è stata riconosciuta dall’Organizazione Mondiale della Sanità come una vera e propria malattia, per questo non può più essere considerata un capriccio. È stata inserita nell’International Classification of Disease (ICD-10) tra le fobie specifiche (OMS, 1996).

Secondo le stime dell’OMS riguarderebbe il 15-20% della popolazione. Le persone con odontofobia sono normalmente portate a rimandare continuamente le cure, aggrappandosi a terapie farmacologiche (antibiotici, antidolorifici) che ritardano la soluzione del problema.

 

L’ odontofobia nei bambini

Una particolare attenzione viene posta all’infanzia, un periodo delicato in cui l’esordio della paura del dentista e dell’ansia per le cure odontoiatriche è più frequente.

Indipendentemente dall’età molti bambini sono molto resistenti e in grado di sopportare molto, mentre altri sono vulnerabili e rispondono negativamente anche a piccoli stimoli stressanti. L’equipe odontoiatrica non può influenzare questi fattori, ma dovrebbe dimostrarsi sensibile e adattare a essi la strategia di trattamento. I fattori dentali sono quelli che l’equipe può tenere sotto controllo. Gli aspetti principali sono rappresentati dalla prevenzione del dolore e del disagio e dal tentativo di stabilire una buona relazione psicologica tra il bambino e i genitori da una parte e l’equipe odontoiatrica dall’altra.

 

Il paziente pedodontico

Una classificazione dei pazienti pedodontici risulta utile per conoscere le caratteristiche del bambino con paura del dentista e quindi per facilitare la relazione e il lavoro con esso. Per elaborarla è necessario tenere conto non solo del comportamento manifesto ma anche di eventuali problemi fisici, mentali, psicologici e sociali che possono limitare la terapia odontoiatrica e le misure preventive o aumentare il rischio di insorgenza di determinate patologie (Dorfer, 1997).

Una delle classificazioni più semplici dei pazienti è stata introdotta da Wright (2002). Partendo dal presupposto che la cooperazione sia uno dei fattori principali nella riuscita di un trattamento, essa distingue i bambini collaboranti, i bambini privi di capacità di collaborazione e quelli potenzialmente collaboranti. I pazienti potenzialmente collaboranti, a differenza di quelli che non lo sono, pur non manifestandolo, possono cooperare con l’odontoiatra se aiutati nel modo giusto. Tra i pazienti che non collaborano si trovano di solito soggetti portatori di specifiche patologie fisiche e/o psicologiche, portatori di handicap e soggetti con odontofobia, che manifestano fobie o ansia verso il trattamento.

I pazienti possono essere affetti da diverse tipologie di problemi. I problemi fisici possono riguardare, per esempio, patologie cardiocircolatorie, patologie renali, disturbi endocrini, patologie intestinali croniche, allergie, patologie del sistema immunitario, patologie del sangue, patologie della pelle e patologie del sistema neuromuscolare. Problemi mentali riguardano l’invalidità o patologie mentali croniche come la trisomia 21, l’autismo e il ritardo mentale. Per quanto riguarda i problemi psichici si possono osservare pazienti con disturbi d’ansia o fobie. Infine i problemi di natura sociale possono riguardare soggetti con basso livello socio-culturale o appartenenti a minoranze etniche. I pazienti possono appartenere a più categorie presentando varie caratteristiche.

In passato non era data particolare attenzione alla gestione dei piccoli pazienti, questi si trovano spesso a dover affrontare la prima visita odontoiatrica a causa di una urgenza e quindi senza venire preparati al trattamento ed inoltre i pazienti di qualsiasi età venivano trattati allo stesso modo (Koch e Staehle,1997). Per questo era più facile che il trattamento si trasformasse in una esperienza dolorosa e traumatica portando conseguenze negative sui successivi rapporti col dentista e sulla salute orale. Oggi, invece, un pedodonzista e i suoi collaboratori devono usare una strategia integrata facendo riferimento a più discipline, per avere una visione più ampia possibile delle problematiche che affrontano (Wright, 2002).

 

Il ruolo dello psicologo in campo odontoiatrico

Come precedentemente accennato, riveste una certa importanza il riuscire a discriminare in odontoiatria la presenza di psicopatologie nel paziente come in casi di odontofobia, competenze conoscitive minime, queste, di cui l’operatore odontoiatrico dovrebbe disporre al fine di decidere se intervenire appoggiandosi a qualcuno maggiormente competente, uno psicologo, inviandogli il paziente, in modo tale da poterlo trattare in modo completo.

Gli obiettivi di un lavoro psicologico in ambito odontoiatrico solitamente si concentrano sui temi del rilassamento, della distrazione, di un miglior rapporto con l’equipe (Casilli, D’Avenia, 2006), questi hanno lo scopo di rendere al paziente con odontofobia più facile il sottoporsi alle cure che possono incutere timore. L’invio allo psicologo da parte dell’odontoiatra dovrebbe avvenire quando il paziente è fobico evitante o quando c’è un forte stato di paura e tensione che rende la vita del paziente particolarmente difficile, pur in assenza di fobia (Casilli e D’Avenia, 2006), e quindi non consente all’odontoiatra di intervenire sul paziente stesso.

La richiesta di consulenza dello psicologo pone in primo luogo la necessità di sviluppare un canale comunicativo con l’odontoiatra, in questi casi la differenza di competenze e di ambiti operativi favorisce la costruzione di relazioni equilibrate, la difficoltà che a volte si incontra è quella di conciliare il linguaggio medico con quello psicologico

 

Quale approccio utilizzare con bambini che hanno paura del dentista?

Per facilitare la cooperatività del bambino ci sono dei principi condivisi da vari autori (Wright, 2002; Koch e Staehle,1997) da rispettare, alcuni riguardano l’odontoiatra e le caratteristiche che deve avere per una buona riuscita del trattamento.

Quando un bambino si trova ad affrontare una visita odontoiatrica vari fattori entrano in gioco a determinarne la condotta. Per quanto riguarda il tempo è necessaria una adeguata organizzazione che tenga conto delle caratteristiche dei pazienti, nel caso di un bambino che è alla prima visita, che ha paura del dentista o comunque presenta difficoltà sarebbe sempre meglio disporre gli appuntamenti in modo tale da garantire al paziente il tempo necessario affinché il trattamento sia il migliore possibile che si possa fornire (Pasini, 1992, Wright, 2002) dando al paziente la possibilità di comprendere, adattarsi alla nuova situazione ed evitare l’instaurarsi di ulteriori paure e fobie.

L’approccio degli odontoiatri deve essere lento e graduale, indirizzato verso il gioco e la conquista della fiducia del bambino. L’atteggiamento amichevole e positivo, comprensivo e paziente, dovrebbe avere l’effetto di calmare e rassicurare il bambino con paura del dentista.

Il dentista dovrebbe, inoltre, essere disposto ad un rapporto empatico. L’atteggiamento informale del curante, spesso, ha l’effetto di calmare il paziente.

Odontoiatra e collaboratori dovrebbero essere capaci di affrontare in modo razionale i comportamenti negativi dei bambini essendo quindi tolleranti (Wright, 2002), inoltre un operatore dovrebbe conoscere i propri limiti di tolleranza in modo da evitare la eventuale perdita di autocontrollo.

È considerato controproducente l’utilizzo di minacce o obblighi riferiti al trattamento odontoiatrico, questi non possono che peggiorare la situazione di un bambino che già manifesta paura del dentista o timori riguardo del trattamento stesso. I bambini più maturi e adolescenti non devono essere trattati in maniera accondiscendente, anche se spesso gli atteggiamenti e i loro comportamenti sono provocatori. Essi devono avvertire il livello ragionevole di equità nella situazione.

Quando possibile, si dovrebbe introdurre gradualmente al trattamento il piccolo con paura del dentista o altre ansie relative alla cura odontoiatrica, magari presentando gli strumenti che si utilizzeranno, iniziando da quelli più semplici. Durante la seduta è utile fornire al bambino degli strumenti di controllo sulla situazione come per esempio l’alzare la mano per chiedere una pausa, strategia che aumenta la collaborazione (Guastamacchia e Tosolin, 1997) e permette di diminuire gli stati ansiosi.

Il condizionamento operante ha effetto in pedodonzia nel modificare i comportamenti, sia per aspetti positivi che per aspetti negativi (Magro e collaboratori, 2000; Anolli e Legrenzi, 2001). Si dovrebbero dare rinforzi positivi al bambino con paura del dentistamagari congratulandosi con lui per essere stato bravo durante la visita, in ogni caso la conclusione di una seduta deve sempre avere valenza positiva affinché la seduta successiva il paziente mantenga un comportamento collaborante (Koch e Staehle,1997). In senso negativo il condizionamento operante si ha per esempio se una visita è stata interrotta causa di un comportamento del paziente stesso, tale comportamento viene rinforzato poiché il bambino che non è disposto con lavorare lo interpreta con successo, sia quindi un rinforzo negativo perché il bambino nella seduta successiva si comporterà allo stesso modo.

È fondamentale che il bambino si senta sicuro. Per favorire questo è necessario che si sia instaurato un buon rapporto tra il bambino, la persona che lo accompagna e l’equipe odontoiatrica, gli stimoli dolorosi devono essere minimi e il bambino deve avere la percezione di avere la situazione sotto controllo. Lo stabilirsi di una buona relazione si basa sulle competenze comunicative dell’équipe. La modalità di comunicazione deve essere adattata all’età e alla maturità del bambino, può essere verbale o non verbale.

Per i pazienti ansiosi la comunicazione non verbale è importante quanto il linguaggio parlato. Quando il bambino è accompagnato dai genitori, è necessario stabilire una adeguata comunicazione sia con il bambino che con gli adulti. Bisognerebbe evitare di separare i bambini piccoli, soprattutto quando manifestano paura del dentista, dai propri genitori durante la fase iniziale del trattamento, poiché l’ansia per la separazione potrebbe aumentare il loro livello di stress generale e ridurne la capacità di comunicazione. Da un punto di vista pratico innanzitutto ci si pone il problema se far entrare o meno l’accompagnatore durante la visita, se il bambino non ha particolari problemi è consigliato far entrare l’accompagnatore le prime volte per poi renderlo più autonomo le volte successive (Koch e Staehle, 1997). A meno che il bambino si mostra particolarmente disposto a entrare da solo già alle prime visite. Si deve lasciare parlare i bambini per poi porre delle domande, successivamente si inizia la visita.

Prima di intervenire è necessario il consenso dei genitori, per questo devono sempre fornire le informazioni necessarie considerando che anche il bambino sta ascoltando, evitando elementi che potrebbero risultare troppo ansiogeni (Koch e Staehle,1997). Le diagnosi devono essere fatte con chiarezza e spiegate con termini accessibili, anche in base all’età del paziente.

È poi importante che il bambino abbia alcuni appuntamenti con l’odontoiatra senza provare dolore e altri tipi di avversità prima di sperimentare i trattamenti che potrebbero provocare disagio o dolore. Ripetute visite odontoiatriche in assenza di dolore possono vaccinare il bambino contro la paura del dentista o l’ansia legata alle terapie odontoiatriche. Indipendentemente dall’uso di tecniche per ridurre il dolore, prima di un possibile evento doloroso, deve informare il bambino su ciò che sta per accadergli. Grazie alla riduzione degli elementi di sorpresa e all’aumento della prevedibilità e del controllo, ciò potrà condurre a una riduzione delle sensazioni immediate di paura del dentista e avere forse lo stesso effetto in una prospettiva a lungo termine.

Il modellamento del comportamento dei bambini implica una preparazione al confronto con gli strumenti e le tecniche usate dall’odontoiatra. Il modellamento del comportamento è necessario per ogni bambino che siede sulla poltrona dell’odontoiatra. In odontoiatria il tipo di modellamento del comportamento più comunemente accettato si basa sul concetto di esposizione alla terapia. I pazienti sono progressivamente esposti a tecniche e strumenti in grado di provocare ansia potenziale. A ogni tappa si ha un moderato aumento dello stress della paura: i pazienti sono tenuti in queste situazioni di esposizione finché non si ha una riduzione delle loro reazioni di spavento. In tal modo si crea la sensazione di essere capaci ad affrontare questi stimoli. Se una esposizione è interrotta prima che la paura sia ridotta, il livello di paura aumenta e produce una sensazione di sconfitta e perdita delle capacità di affrontare la situazione (Koch e Poulsen, 2001).

Altra tecnica utilizzata è quella della desensibilizzazione. Sono previsti i passaggi relativi al trattamento a cui si ritiene sottoporre il bambino. Per esempio l’utilizzo della anestesia locale è di estrema importanza per il trattamento del dolore dentale, ma per molti bambini la vista della siringa e della tecnica di iniezione è spesso già di per se è in grado di destare paura. I vari passaggi in cui si articola la procedura permettono al bambino di avere una conoscenza sostanziale di ciò che sta accadendo, di avvertire una minima stimolazione dolorosa e di acquisire in qualche misura una sensazione di controllo della situazione. A ogni esposizione l’applicazione di questi temi che dipende dall’età della maturità del bambino.

Il tenere a mente queste strategie molto semplici quando si raccoglie l’anamnesi all’inizio della visita odontoiatrica, come durante il successivo esame orale e trattamento odontoiatrico, è la chiave di volta per la creazione di un buon ambiente psicologico nella situazione di trattamento.

Poiché i problemi comportamentali, la paura del dentista e l’ansia per le terapie odontoiatriche sono sovente motivi più frequenti per cui i pazienti si rivolgono agli odontoiatri infantili, ci si può chiedere se a questi ultimi debba essere attribuita una particolare responsabilità per il trattamento con questi bambini tutti gli odontoiatri che trattano pazienti in età infantile devono possedere una conoscenza sostanziale e atteggiamenti volti a prevenire problemi comportamentali e l’ansia per le terapie odontoiatriche, oltre a essere in grado di occuparsi dei bambini che presentano questi problemi.

È importante che gli odontoiatri infantili siano promotori di una strategia in cui il punto di vista dei bambini sia preso in considerazione dall’inizio alla fine del lavoro. Essi dovrebbero rappresentare il punto di vista dei bambini quando non è possibile un loro coinvolgimento (Koch e Poulsen,2001), cercando di immaginare quali possono essere le loro prospettive e, quando necessario, sostituirsi al loro per salvaguardarne l’autonomia.

 

La paura del dentista nei più piccoli: conclusioni

In conclusione, l’obiettivo da perseguire quando ci si trova a contatto con bambini nel contesto odontoiatrico, dovrebbe essere la presa in carico del paziente nella sua globalità. L’odontoiatra e la sua equipe dovrebbero fare il possibile per mettere il piccolo a suo agio, coinvolgendolo nel trattamento e motivandolo alla prevenzione, al fine di ottenere la sua collaborazione e quella dei genitori, giungendo così a una migliore cura e gestione di esso, garantendogli delle esperienze odontoiatriche positive e un’educazione ottimale verso una corretta igiene orale.

Fonte: http://www.stateofmind.it/2017/01/paura-del-dentista-odontofobia-bambini/

Combattere l’alitosi

COS’È?

L’alito cattivo (alitosi) è un problema piuttosto comune.
In condizioni normali l’odore del cavo orale può registrare delle variazioni nella sua intensità e tipologia in funzione di alcune variabili quali l’età, il sesso, le abitudini alimentari, l’orario della giornata.
L’emissione di odore sgradevole dal respiro (generalmente dalla bocca ma a volte anche dal naso) al risveglio, così come dopo un pranzo o una cena particolarmente ”saporiti” è una cosa normale e non necessita di particolari accorgimenti. Infatti, durante la notte, quando la produzione di saliva diminuisce e i movimenti della bocca sono molto limitati, il processo di decomposizione batterica, principale responsabile dell’alitosi, è ulteriormente potenziato.
Anche un pasto particolarmente abbondante oppure a base di alimenti come aglio o cipolla facilmente provoca alitosi: questi alimenti sono ricchi di composti volatili dello zolfo che vengono eliminati attraverso le vie respiratorie.
In altri casi, l’alitosi può essere dovuta a periodi prolungati di digiuno: questa condizione riduce anche la produzione di saliva, un importante meccanismo di autodetersione della bocca.
Se tuttavia l’alito cattivo è persistente e continuo le cause potrebbero essere diverse (dentali e/o gengivali, digestive o respiratorie).

QUALI SONO LE CAUSE?

La causa principale dell’alitosi è una scarsa (o inappropriata) igiene orale, che comporta la formazione della placca batterica, composta da milioni di batteri che proliferano sulla lingua e sui denti. I batteri reagiscono con i residui di cibo e, attraverso una reazione chimica di decomposizione, liberano gas (solfuri) che conferiscono un caratteristico odore di zolfo all’alito.
La placca batterica, inoltre, col tempo si trasforma in tartaro, a sua volta responsabile di infezioni del cavo orale, come parodontiti e gengiviti a loro volta causa di alitosi.
Altri fattori che possono contribuire all’insorgenza di alitosi sono il tabagismo (sigarette, pipa, sigaro, tabacco da fiuto o da masticare) e l’assunzione di determinati farmaci, fra cui alcuni antidepressivi, antistaminici, antipertensivi, diuretici, ansiolitici poiché possono ridurre la produzione di saliva.
Più raramente, l’alitosi può essere provocata da disturbi che interessano l’apparato digerente (gastrite, dispepsia, reflusso gastro-esofageo, ernia iatale) o l’apparato respiratorio (sinusite, rinite cronica, tonsillite). In tutti questi casi è necessario consultare il proprio medico.

QUALI SONO I RIMEDI?

  • Una scrupolosa igiene del cavo orale è il primo intervento per combattere l’alitosi: utilizzare il filo interdentale almeno una volta al giorno e spazzolare accuratamente i denti dopo ogni pasto. E’ importante dedicare qualche minuto anche alla pulizia della lingua, soprattutto a livello del terzo posteriore, dove la proliferazione batterica è maggiore e dove è più difficile la rimozione naturale della placca per la presenza del palato molle. Per questa operazione può essere utilizzato un normale spazzolino a setole morbide oppure particolari raschietti che permettono l’asportazione meccanica della placca (es. Spaik puliscilingua).
  • Se non è possibile lavare i denti dopo il pasto, almeno sciacquare la bocca e masticare un chewing-gum senza zucchero, che aiuta ad asportare gli eventuali frammenti di cibo in superficie e dagli spazi interdentali.
  • L’impiego regolare di collutori a base di sostanze ad azione antisettica (es. Curasept, Elmex), facendo gargarismi per almeno 30 secondi, consente di migliorare la situazione, anche se l’effetto è piuttosto breve (qualche ora al massimo), con un’alta variabilità da persona a persona.
  • Cercare di limitare il consumo di cibi noti per essere in grado di provocare alitosi come cipolle, aglio, certe spezie, peperoni, carni affumicate, alcuni pesci, alcuni formaggi e bevande come caffè, birra, vino e alcolici. Chi ha problemi di secchezza della bocca (xerostomia), qualora le cause non possano essere rimosse, può trovare giovamento in specifici sostituti della saliva (es.Oralbalance, Secriva) e bere spesso.
  • E’ consigliabile eliminare o ridurre il consumo di tabacco.
  • Per i portatori di protesi fisse (o ponti) e apparecchi ortodontici, ecc. può essere utile l’impiego di irrigatori orali (es. Broxo Jet, Water pik), particolari apparecchiature che, grazie ad un getto d’acqua, permettono la pulizia degli spazi interdentali difficilmente raggiungibili.

Fonte: http://www.saninforma.it/biblioteca-della-salute/combattere-l-alitosi

Sbiancamento dei denti, fatelo dal dentista: dura di più e fa meno danni

Il richiamo è forte soprattutto in primavera: quando la bella stagione incombe e tutti tornano a riprendersi cura del proprio corpo.  

Lo sbiancamento dei denti è una procedura di odontoiatria estetica che vive una fase di grande richiesta. E che, nell’ultimo lustro, ha avuto il merito di rendere meno difficile l’approccio col dentista. Ogni anno, nel recente passato, sono stati infatti almeno 120mila gli italiani che si sono rivolti a un odontoiatra per «schiarire» il colore dei propri denti, che si macchiano e ingialliscono a causa del consumo dello smalto e dell’azione colorante del fumo e dei cibi (caffè, tè, vino rosso, bevande gassate, succhi di frutta scuri, mirtilli, more, aceto balsamico e pomodoro).

Una procedura che non richiede un bagno di sangue, sul piano economico. Ma che non per questo deve essere presa sotto gamba, se l’invito alla cautela giunge dagli stessi specialisti. «Lo sbiancamento non andrebbe mai effettuato dai minorenni e con sostanze che hanno un ph acido, che può danneggiare lo smalto».

Meglio evitare il fai-da-te  

Il monito è giunto dall’ultimo congresso dell’Accademia Italiana di Odontoiatria, Conservativa e Restaurativa (Aic), durante il quale sono stati presentati i dati di uno studio che ha evidenziato come oltre la metà dei pazienti intervistati fosse insoddisfatta del colore dei propri denti. Un dato che spiega cosa ci sia alla base di questo boom di procedure di sbiancamento, il cui costo oscilla tra 250 e 300 euro: con valori in costante crescita del 15 per cento ogni anno.

Alla scelta gli italiani arrivano quasi sempre dopo aver sperimentato il fai-da-te: con dentifrici, gel, collutori, mascherine o altri schiarenti, che contribuiscono a irrobustire un giro d’affari che si stima superi il miliardo di euro. «I denti macchiati o gialli invecchiano il volto e negli ultimi anni avere un bel sorriso, con una dentatura chiara e armonica, è divenuto un desiderio sempre più diffuso – afferma Stefano Patroni, presidente dell’Aic -. Detto ciò, c’è poca consapevolezza su che cosa siano realmente le procedure di sbiancamento, su come affrontarle e come si differenzino dai trattamenti schiarenti fai-da-te. Questi ultimi si limitano a rimuovere la patina superficiale che ricopre i denti, mentre il processo di sbiancamento ossigena il dente, con penetrazione e scambio di molecole di perossido di idrogeno che generano la colorazione bianca».

Due procedure: chimica o meccanica  

Prima di intervenire bisogna tuttavia capire da che cosa dipendono eventuali anomalie di colore, chiazze o tinte relativamente scure. In qualunque caso, è importante non eccedere nella ricerca di un «ultra-white» impossibile. «Oggi anche in Europa la tendenza è verso denti anche oltre il colore medio naturale, come accade già da tempo oltreoceano – sottolinea Federico Ferraris, vice-presidente dell’Aic -. L’effetto dello sbiancamento è duraturo, ma non permanente. Secondo le abitudini alimentari e di igiene dentale, si consiglia un richiamo ogni 2-3 anni per mantenere il punto di bianco raggiunto.

Esistono varie tipologie di interventi: con metodi chimici o meccanici. I primi, generalmente proposti negli studi odontoiatrici, si basano sull’azione di prodotti in grado di agire chimicamente sulle molecole responsabili del colore scuro. I secondi prevedono l’utilizzo di paste abrasive che abradono la superficie dentale. Per questo vanno usati dal dentista in maniera controllata per rimuovere le macchie da cibi».

Motivo per cui alcuni dentifrici che utilizzano lo stesso principio non devono essere usati a lungo, perché possono causare danni irreversibili ai denti: fino a farli diventare ipersensibili. Ci sono poi anche dei metodi ottici, che prevedono l’impiego di sostanze che però creano soltanto l’illusione ottica di una maggior brillantezza dei denti.

Attenzione al pH del prodotto che si acquista  

Il consesso scientifico è servito a fare il punto anche su un altro aspetto rilevante. Finora i consumatori, nell’acquistare dentifrici, gel e colluttori, si sono preoccupati di tenere d’occhio soltanto la concentrazione di perossido di idrogeno: che nei prodotti acquistabili in farmacia o al supermercato non può essere superiore allo 0,1 per cento (mentre nei prodotti usati dai dentisti si può arrivare fino al sei per cento).

Invece conviene tenere d’occhio anche il pH di questi prodotti, che deve essere il più possibile neutro. La normativa vigente consente una soglia minima di quattro. Ma secondo le più recenti sperimentazioni, hanno dichiarato gli esperti, «dovrebbe essere più aggiornata e restrittiva». Un messaggio rivolto agli stessi pazienti, dal momento che nel nostro Paese non vige l’obbligo di indicare il pH sulle confezione dei prodotti. «Tocca a loro chiedere ai dentisti se un prodotto anche da banco è sicuro».

Twitter @fabioditodaro

Fonte: http://www.lastampa.it/2017/06/19/scienza/sbiancamento-dei-denti-fatelo-dal-dentista-dura-di-pi-e-fa-meno-danni-GUbU3xnyAaSz3KG90w6o8L/pagina.html